R.E.M.: Cantare una Nuova America

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Quest’anno i R.E.M. hanno sfornato un album che, come già anticipato da dichiarazioni antecedenti, non porteranno in tour: Collapse into Now, un titolo intrigante che suggerisce un’idea di movimento e di impatto brusco. Sembra essere un concetto in cui Michael Stipe, Mike Mills e Peter Buck vedono la cifra di questo momento storico. Collapse into Now, infatti, arriva a tre anni dall’ottimo Accelerate, album portato in tour in America ed Europa nel 2008 e caratterizzato da un impeto spesso arrabbiato e a tratti dolente nei confronti di alcuni aspetti della società e della politica americana. Il moto accelerato, dunque, è arrivato a collassare nell’adesso, un qui e ora che ha portato delle buone news per la band georgiana. Barack Obama, acclamato a gran voce e sostenuto dai R.E.M. sin dalla campagna elettorale, è diventato presidente dei loro Stati Uniti, e il cupo pessimismo che riverberava nei testi di Stipe nell’album precedente ha lasciato ora il posto a un nuovo sentire. Adesso c’è spazio per nuove scoperte, per profumi di miele e per un futuro in cui ogni giorno è quello buono per portarsi a casa una vittoria. La stessa band si prende il suo tempo per godersi il percorso fatto sin qui, rispettando quanto già anticipato da mesi, cioè la decisione di far uscire un disco senza il relativo tour. Questo album per il trio di Athens è, come hanno dichiarato recentemente anche Mills e Buck, un “classico”, vario e contenente tutti gli elementi che suonano à la R.E.M.. È anche un lavoro che segna il momento di duetti con nomi eccellenti, come Patti Smith ed Eddie Vedder, oltre alla cantautrice canadese Peaches. Collapse into Now, prodotto da Jacknife Lee come il suo predecessore Accelerate, è stato registrato in parte agli Hansa Ton Studios di Berlino, gli stessi in cui hanno lavorato anche David Bowie per Heroes e gli U2 per Achtung Baby. E come la capitale tedesca con le sue atmosfere ha influito sulle sonorità di queste due pietre miliari rispettivamente del 1977 e del 1991, così ha lasciato il segno anche nei R.E.M., fin dalla canzone scelta come primo singolo, Überlin. Bel destino, quello di Berlino: un passato cupo e doloroso da cui nascono pezzi d’arte notevoli.

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L’esordio del disco è affidato a Discoverer, veloce e graffiante, che denota da subito l’odierna impronta ottimista della band: uno dei pezzi più riusciti dell’album, che ricorda i risultati migliori dell’ottimo Monster(1994). In questa canzone la collaudata coppia Mills-Buck si lancia in un potente dialogo fra un basso pulsante e una chitarra chiara e limpida come poche. Si passa poi a All the Best, anch’essa un brano veloce e incalzante, in cui Stipe dichiara di voler cantare, fare rime e insegnare ai ragazzini a farlo come si deve. Hanno voglia di fare i R.E.M. del 2011: voglia di fare e di dimostrare “tutto il meglio”. È la volta di Überlin, un pezzo dall’incedere che s’insinua dentro e non va più via, c’è poco da dire. Überlin è solare, luminosa, è luce: parla di viaggi fatti su una stella che attraversa il giorno e la notte e le stazioni della U-bahn berlinese. Stazioni in cui a un certo punto bisogna scendere e cambiare, e il cambiamento è declinato spesso in questa canzone e in tutto l’album: change come verbo e come sostantivo – e ancora una volta è difficile non pensare a quel “Change we can believe in” che di Obama era lo spot elettorale assieme al celeberrimo “Yes, we can”. Con questo trittico d’apertura, il disco ha già guadagnato la sua ragione di esistere. E pare quasi che, proprio con questa consapevolezza, il trio di Athens abbia potuto lasciarsi andare alla composizione di brani meno memorabili nella parte centrale della tracklist. Forse qualche ingenuità in alcune liriche testimonia che è vero che spesso da uno stato d’animo incavolato nascono testi particolarmente validi – parlando del suo songwriting per Accelerate, lo stesso Stipe ha affermato che quando l’impero va a rotoli è facile scrivere grandi canzoni arrabbiate. Oh My Heart è un voluto riferimento al corrispettivo (e più riuscito) brano Houstondi Accelerate, di cui costituisce una sorta di seguito tanto nell’incedere delle strofe quanto nel testo. I R.E.M. sono tornati sull’argomento che, nella Houston composta durante il mandato di Bush, recitava: “If the storm doesn’t kill me, the government will” (“se non mi uccide la tempesta, ci penserà il governo a farlo”). Adesso, mostrando un rinato ottimismo nelle “magnifiche sorti e progressive dell’umana gente”, in Oh My Heart quel verso diventa “The storm didn’t kill me, the government changed” (“la tempesta non mi ha ucciso, il governo è cambiato”). Quando arriva il turno di It Happened Today le aspettative sono già alte, perché trattasi del brano dell’atteso duetto con Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam e amico di vecchia data di Stipe e soci. È un classico brano “alla R.E.M.” vecchio stile, che lascia forse il sapore dell’incompiuta perché si sarebbe potuto sfruttare meglio un collaboratore come Vedder, magari regalandogli una strofa o comunque facendogli cantare qualcosa in più rispetto al semplice coro di “Oh-oh-oh”. La canzone è tuttavia uno dei simboli di questo album, non fosse altro per il fatto che racchiude il sentimento attuale del gruppo: la soddisfazione di veder accadere, a più di cinquant’anni di età, una svolta epocale per il loro Paese (con tanto di hip hip hurrà nel ritornello). L’elezione del primo presidente di colore, l’avvento della speranza e delle promesse – pur se a tutt’oggi non tutte mantenute – in cui finalmente poter tornare a credere, sono feelings palpabili nelle parole e nella voce di Michael Stipe. È qualcosa che è successo oggi – hurrà. Manifesto programmatico dei R.E.M. anno 2011. Every Day is Yours to Win nel testo mantiene fede al ritrovato ottimismo dei tre rockers georgiani, un lento non memorabile che è quasi una ninnananna. Mine Smell Like Honey è un up-tempo che sembra ripresa dal periodo I.R.S. della band, e sicuramente piacerà ai fan di quel sound. Segue Walk it Back, testo minimal e melodia allineata, dal sound molto classico-americano. Sì, magari “sound americano” significa tutto e niente, ma la sensazione è davvero quella di una canzone che è born in the U.S.A..

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Alligator_Aviator_Autopilot_Automatter non è uno scioglilingua, non è uno scherzo e non è neanche un ritornello; magari è un divertissement (testo, musica e performance), ed è cantato insieme alla bella voce di Peaches. La cantautrice canadese arricchisce una canzone già di per sé molto godibile, ma che si può a buon diritto considerare sorella minore di Animal e della successiva I’m Gonna DJ che il trio della Georgia ha pubblicato rispettivamente nel 2003 e nel 2008. Si crea così un ideale trittico vibrante e gioioso, i R.E.M. versione festaiola che durante i live portano il pubblico a saltare immancabilmente. Anche That Someone is You ha il sapore del periodo I.R.S. della band: pezzo scanzonato e senza troppe pretese, che nel testo cita le copertine dei dischi dei New Order e il post-punk dei gallesi Young Marble Giants, ma soprattutto rispecchia l’amore di Stipe per il cinema, con citazioni che vanno da Casinò di Scorsese allo Scarface con Al Pacino, fino al più recente Gran Torino di Clint Eastwood. E si prosegue con l’omaggio al grande cinema americano, con il successivo lento-minimal Me, Marlon Brando, Marlon Brando and I. Viene da pensare che il titolo sia una citazione del verso “Marlon Brando, Pocahontas and me” di Neil Young, visto che Neil è citato nel testo stesso di Stipe. Il brano conclusivo (Blue) è il terzo duetto dell’album, stavolta con Patti Smith (anche coautrice della canzone), che va a riprendere lo storico duetto fra i R.E.M. e la sacerdotessa del rock in E-bow the Letter (da New Adventures in Hi-Fi, 1996). E l’atmosfera evocata dal pezzo è la stessa, sarà che ad ingredienti uguali corrisponde un sapore analogo. Ma i brani sono ben diversi fra di loro, è il carisma dei protagonisti che trasudando da ogni nota rende le canzoni comunque consanguinee (e ok, sarà anche una nota per maniaci, ma in entrambi i testi viene menzionato l’orario delle quattro del mattino). Anche se, attenendosi alle prime note con cui il pezzo si apre, verrebbe da pensare alla splendida Country Feedback, e il cantato di Stipe in questo duetto sembra ricalcare, in versione più “parlata” e più veloce, quello del brano presente in Out of Time. “I can be bad poet”, canta Michael Stipe nella prima strofa, ma è proprio in questo testo che si ritrova la migliore vena compositiva dello Stipe autore. La canzone è una dichiarazione d’amore di un americano al suo paese: “I like you, love you, every coast of you” passando attraverso uragani, basse maree e lune piene. Il testo riassume lo stato d’animo attuale di Stipe e dei R.E.M., maggiormente a proprio agio che in passato: tutto il ventesimo secolo trascorso da un decennio si ripiega e si condensa nel presente: “This is my time and I am thrilled to be alive / Living / Blessed / I understand / Twentieth century / Collapse into Now”. Blue è senza dubbio una delle canzoni migliori di tutto l’album, meravigliosamente notturna ed evocativa, e sul confronto con E-bow the Letter ci riserviamo di attendere l’esito della prova del tempo. Per adesso, la si può considerare uno zaffiro, una pietra preziosa e blu che pone un sigillo di pregio al disco intero. Ma non è l’avvolgente sensualità di Blue a restare come eco nelle orecchie alla fine dell’ascolto, perché Collapse into Now si chiude così come si era aperto, e cioè con le note di Discoverer in versione repriseche funge da coda, facendo echeggiare l’esortazione a “scoprire” ancora e ancora. È come se, con la circolarità che i R.E.M. hanno voluto conferire all’album, la band volesse sancire che il viaggio di scoperta in cui ci hanno accompagnato li ha e ci ha riportati al punto di partenza, dopo essere passati attraverso ciò che è accaduto oggi e che è stato finalmente di loro gradimento. Quindi è bello tornare a casa dopo aver percorso le strade di un’America ritrovata con un piacere che i tre di Athens avevano affermato di avere da troppo tempo dimenticato.